CRESME, €1.000 mld potenziali per interventi antisismici

Il Rapporto “Incentivi e riduzione del rischio Sismico in Italia: cosa fare, come fare" è realizzato da CRESME (Centro Ricerche Economiche Sociali e di Mercato nell’Edilizia) e ISI (Ingegneria Sismica Italiana), con il contribuito di importanti aziende attive nel campo dei prodotti e tecnologie antisismiche e dei prodotti dell’edilizia.
Uno dei freni più ingombranti contro la prevenzione antisisimica è il deficit di conoscenza circa “cosa” e “come” fare per migliorare la sicurezza sismica degli edifici. 
In questo contesto, CRESME e ISI hanno deciso di mettere a disposizione le proprie competenze, attraverso uno studio accurato e aggiornato che permette di conoscere: il numero di persone e immobili in zone a rischio sismico nelle provincie italiane; le modalità per misurare la classe di rischio degli immobili; le modalità per beneficiare degli incentivi fiscali; le tecnologie oggi disponibili per ridurre il rischio in caso di terremoti; un abaco di prodotti disponibili. 
Lo studio e i convegni di presentazione hanno l’obiettivo di fornire a progettisti, amministratori locali, proprietari, gestori immobiliari, amministratori condominiali e imprese delle costruzioni un quadro dettagliato sulla dimensione complessiva delle attività potenzialmente realizzabili e sul quanto e come fare per adeguare gli immobili al rischio sismico. 

In Italia gli edifici che ricadono nelle zone sismiche a rischio 1, 2 e 3 sono 11,1 milioni, di cui 9,3 milioni di fabbricati residenziali (per 17 milioni di abitazioni). Negli edifici residenziali, nelle abitazioni occupate, vivono circa 20,4 milioni di famiglie, pari a una popolazione di 48 milioni di abitanti (l'80% degli italiani). Sulla base di questi dati provenienti da Istat e Protezione civile, il Cresme e l’Isi hanno stimato - sulla base dell'età degli edifici, lo stato medio di manutenzione, le tecniche e materiali impiegati per la costruzione, e dei costi medi di intervento (in relazione al livello di vulnerabilità) - che gli investimenti "potenzialmente attivabili" per la riduzione del rischio sismico degli edifici che insistono nelle zone 1, 2 e 3, oscilla fra 900 e 1.000 miliardi di euro. 
Si tratta di una cifra pari a circa due terzi del Pil italiano, tale per cui se tutti gli aventi diritto chiedessero il sismabonus, calcolando un'aliquota media del 65% (oscilla in realtà dal 50 all'85%), detraibile in 5 anni, questo comporterebe un costo per lo Stato di 130 miliardi di euro all'anno per cinque anni, l'8% di deficit/Pil in più all'anno.  

Secondo la classificazione sismica dei comuni italiani della Protezione Civile il 44% del territorio nazionale (133mila kmq) è in area ad elevato rischio (zona sismica 1 e zona sismica 2). Se si allarga questo bacino di rischio alla potenziale platea di beneficiari del “Sisma bonus” (è inclusa la zona 3) le dimensioni aumentano considerevolmente fino ad arrivare a quasi l’80% del Paese: - 48 milioni di abitanti; oltre 20 milioni di famiglie; - 11 milioni di edifici totali, di cui 1,7 milioni a destinazione produttiva o istituzionale; - negli immobili a destinazione produttiva vi lavorano 13 milioni di addetti; - 9,3 milioni di edifici ad uso residenziale, di questi: il 57% è costruito prima degli anni ’80; il 56% è in muratura portante e il 36% ha più di 2 piani. 

Parlando di agevolazioni fiscali, la novità sostanziale è rappresentata dal Sisma bonus previsto nella Legge di Stabilità 2017 (Legge 232/2016) e confermato in Legge di Bilancio 2018: oltre ad estendere l’arco temporale nel quale è possibile eseguire gli interventi per i quali godere delle detrazioni fiscali, consentendo quindi una pianificazione ‘a lungo termine’, viene affiancato ad un sistema che quantifica il rischio sismico degli edifici e quindi i vantaggi ottenuti nell’esecuzione degli interventi. Questa quantificazione costituisce la garanzia dell’efficienza degli investimenti, sia dal punto di vista della sicurezza sismica che dei benefici economici attesi e rappresenta la condizione affinché l’impianto delle misure fiscali risulti efficace, cioè abbia una vasta applicazione, costituisca un incentivo agli investimenti e quindi all’economia del Paese, operi una riduzione generale del rischio sismico del patrimonio immobiliare italiano e quindi riduca i ‘costi’ del terremoto. 

Il Rapporto di studio, si sofferma in particolare sulle misure fiscali (beneficiari, cessione del credito, spese agevolate, controlli dell’Agenzia Entrate); sull’iter da seguire per avere accesso alle misure; sulle modalità operative per la determinazione della classe di rischio (metodo convenzionale, semplificato ed edifici in c.a. e capannoni industriali). Sulla base dei livelli di vulnerabilità degli edifici che insistono nelle tre zone (epoca di costruzione, stato manutentivo, materiali impiegati, altezza e contiguità) e dei costi medi di intervento (in relazione al livello di vulnerabilità) è stata stimata una sommatoria di risorse potenzialmente attivabili per la messa in sicurezza degli edifici che insistono nelle zone 1, 2 e 3, che oscilla fra 937 e 1.041 miliardi di euro. 
La maggior parte degli edifici esistenti è stata realizzata in assenza di regole di progettazione antisismica o secondo norme di vecchia generazione, e pertanto non è in grado di garantire gli standard di sicurezza richiesti dalle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2008). A condizionare ulteriormente il comportamento del patrimonio edilizio esistente è la vetustà che lo caratterizza. Risultano quindi necessari controlli ed interventi. 
La riduzione della vulnerabilità sismica di un edificio può essere perseguita attraverso specifici interventi, andando a intervenire sulle criticità (elementi di vulnerabilità) della costruzione, e avendo fissato quelli che sono obiettivi da raggiungere, in termini di prestazione sismica, attraverso le opere di progetto. 
Lo studio riporta una panoramica delle principali strategie di intervento sugli edifici esistenti: gli interventi più diffusi e gli interventi innovativi e che si sono dimostrati particolarmente efficaci per l’adeguamento e/o miglioramento di edifici in cemento armato (c.a.) e in muratura. In particolare lo studio si sofferma sulle vulnerabilità tipiche degli edifici esistenti e sui relativi approcci progettuali; ampio spazio è dedicato all’aumento della capacità della struttura di resistere (o assecondare) alle forze sismiche senza subire danneggiamenti eccessivi, distinguendo fra le diverse tipologie costruttive frequenti nel Paese. Fino a descrivere le tecnologie d’interventi che riducono la domanda di prestazione dovuta alla sollecitazione sismica.
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