L’esposizione sismica dell’Italia
2016: 24 agosto, 26 ottobre, 30 ottobre. 2017: 18 gennaio. Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria tremano, e cedono. Il danno stimato di questo solo sciame sismico è di 22 miliardi di euro, ma la cronistoria degli eventi sismici che hanno piagato il Paese, l’ultimo dei quali nell’agosto del 2017, testimonia di un rischio sismico unico in Europa. Il Governo studia adeguate contromosse, mentre l’Unione Europea stanzia aiuti eccezionali.
Dopo che nel dicembre 2016 l’UE aveva erogato una prima tranche di aiuti, di 30 milioni di euro, il 22 giugno 2017, la Commissione Europea ha proposto di mobilitare a favore delle regioni colpite dal sisma circa 1,2 miliardi di euro dal Fondo di solidarietà dell’UE (FSUE), nato nel 2002 per offrire agli Stati membri e ai paesi in via di adesione un sostegno finanziario a seguito di catastrofi naturali, propiziando ricostruzione e ripresa economica. Dopo la definitiva approvazione, a ottobre 2017, la Commissione Europea ha infine trasferito all’Italia 1.196.797.579 euro; si tratta del contributo più consistente mai concesso nell’ambito del Fondo di Solidarietà, senza contare che dalla stessa creazione del FSUE l’Italia ne è stata in ogni caso la maggiore beneficiaria, con oltre 1,3 miliardi di euro mobilitati tra il 2003 e il 2014. Si noti poi che il Fondo ha un bilancio annuo di soli 500 milioni di euro; per raccogliere la somma straordinaria, la Commissione ha dovuto recuperare denaro non speso nel 2016 e ha anticipato denaro sul bilancio del 2018. Torneremo sulle concrete modalità d’impiego del contributo comunitario. Per il momento, tuttavia, basti riflettere sulla sua portata: anche solo così si diverrà consapevoli delle criticità enormi (per molti aspetti, uniche nel Continente) che la nostra nazione patisce a causa di un’innata vulnerabilità sismica.
Il rischio sismico della Penisola
Quotidianamente, l'Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia (INGV) registra scosse sismiche di lieve, impercettibile, entità sul territorio nazionale. Ciò a dimostrare quanto l’Italia sia esposta al fenomeno sismico.
L'Italia è uno dei pochi paesi al mondo in cui rischio sismico, idrogeologico e vulcanico si sovrappongono. Per densità di popolazione e ridotta estensione areale solo il Giappone è esposto a rischi maggiori; tuttavia, netto è il divario tra le due nazioni in termini di prevenzione. L’Italia è quindi anche uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la copresenza di orogenesi alpina e appenninica e la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica.
La sismicità più elevata si concentra nella parte centro-meridionale dello Stivale, lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), in Calabria e Sicilia e in alcune aree settentrionali, come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna è pressoché esente da eventi sismici.
In Italia, il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l’energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica, a partità di magnitudo, normalmente in altri Paesi ad elevata sismicità, come la California o il citato Giappone.
Quali sono le cause di tale divario?
L’Italia, innanzitutto, lamenta una pericolosità sismica medio-alta, per frequenza e intensità dei fenomeni; tuttavia, la sua vulnerabilità è molto elevata, complici la fragilità del patrimonio edilizio, infrastrutturale, industriale, produttivo e dei servizi; da ultimo, altissima risulta l’eposizione ai sismi, a causa della densità abitativa e della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo. La nostra Penisola, in sostanza, è a elevato rischio sismico, in termini di vittime, danni alle costruzioni e costi diretti e indiretti attesi a seguito di un terremoto.
Disponiamo di numerosi studi e documenti sulla sismicità della nostra Penisola; negli ultimi decenni, tali studi di pericolosità sismica sono stati finalizzati per creare zonazioni (pericolosità di base per la classificazione sismica) o microzonazioni (pericolosità locale, cioè persino a scala comunale). In base a queste categorizzazioni, la normativa entrata in vigore nel 2009 (NTC08), all'indomani del terremoto dell’Aquila, sussume una nuova metodologia di calcolo basata su un approccio statistico puntiforme.
Ogni punto del territorio italiano è caratterizzato da un preciso valore di accelerazione al suolo (PGA, Peak Ground Acceleration, “Accelerazione di picco al suolo”) in funzione di un tempo di ritorno. Si badi che la classificazione dei comuni è in continuo aggiornamento, con il progredire degli studi territoriali dalla regione di appartenenza o per variazioni statistiche significative nel lungo periodo.
Ogni comune italiano ora afferisce a una di quattro categorie di rischio sismico. La Zona 1 è quella a sismicità ‘alta’ (PGA oltre 0,25 g) in cui possono verificarsi terremoti forti: questa zona comprende 708 comuni compresi quelli in cui si sono verificate le ultime devastanti scosse (Abruzzo, Friuli, Campania, Calabria, Marche, Lazio). La Zona 2 a sismicità ‘medio-alta’ (PGA fra 0,15 e 0,25 g) raggruppa 2.345 comuni. Come suo sottogruppo, in Toscana alcuni comuni sono classificati con sismicità ‘media’, che prevede obbligo di calcolo dell'azione sismica identica alla Zona 2. Segue o la Zona 3, con 1.560 comuni a pericolosità ‘medio-bassa’ (PGA fra 0,05 e 0,15 g), soggetti a scosse modeste che però in particolari contesti geologici possono vedere amplificati i propri effetti; si pensi al terremoto di Tuscania del 1971, comune classificato in tale zona) Chiude la lista la Zona 4, costituita dai 3.488 comuni a sismicità ‘bassa’ (PGA inferiore a 0,05 g); qui sono possibili scosse lievi e sporadiche, con bassa possibilità di arrecare danni.
Inoltre, a seguito del terremoto del 24 agosto 2016 ricorre con frequenza l’espressione “Comuni del cratere “sismico” a seguito del Decreto legge 189/2016, in materia di “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma” del 24 agosto 2016. Il Governo ha allora compilato un elenco di 62 centri inseriti nel cratere del sisma a cui, dopo il terremoto del 30 ottobre, con Decreto legge 205/2016, sono stati aggiunti altri 69 comuni, per un totale di 131 comuni.
Preme ricordare che i ricercatori, fatte salve le peculiari indagini sulle varie tipologie di rischi (la Protezione Civile rubrica, oltre a quello sismico, i rischi vulcanico, meteo-idro, maremoto, incendi, sanitario, nucleare, ambientale e industriale), tendono ultimamente a correlare il più possibile i dati in possesso. Per esempio, a ottobre 2017 il CRESME (Centro di ricerche di mercato, servizi per chi opera nel mondo delle costruzioni e dell'edilizia) e il Cnappc (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) hanno presentato una mappa del rischio denominato in senso lato ‘naturale’; nello studio, intitolato “Lo stato del territorio italiano, tra rischio sismico, idrogeologico, e consumo di suolo”, per la prima volta sono analizzati gli effetti del combinato disposto costituito da terremoti, frane e alluvioni.
Ciò è tanto più significativo se si conta che dal 2009 ad oggi si è verificato un crescendo e una cronicizzazione del dissesto idrogeologico italiano; ecco allora che, secondo taluni, solo un approccio sistemico, interrelato, ai rischi nazionali è l’unico capace di affrontare le sfide future del Paese.
Il primo dato rilevante che possiamo utilmente evincere dal report citato, che sintetizza l’entità del problema, riguarda la porzione di territorio nazionale coinvolta. Il 5,9% della superficie totale è rubricata come ad alto rischio. Parliamo di 442 Comuni e oltre 8 milioni di persone: il 13,7% della popolazione italiana. Il 25% del territorio - abitato da 11,6 milioni di persone distribuite in 1.690 Comuni – è invece a rischio medio-alto. Tra le città più problematiche sono annoverate Brescia, Rimini, Perugia, Napoli, Salerno, Foggia, Reggio Calabria, Palermo, Catania e Messina.
In tutti i Comuni a rischio alto o medio-alto abitano circa 20 milioni di persone, delle quali 5,3 milioni in Campania e 4 milioni in Sicilia. In queste regioni il pericolo da frana interessa rispettivamente 189.000 e 12.500 persone, il pericolo di alluvione riguarda 60.000 persone in Campania e 20.800 in Sicilia.
Nel Lazio e in Calabria la popolazione residente nei comuni classificati a rischio alto o medio-alto ammonta a circa 1,7 milioni di persone. In particolare in Calabria 12.500 persone sono in aree a pericolo di frana elevata e 20.800 persone nelle aree a pericolo di alluvione; nel Lazio 13.500 persone sono in aree a pericolo di frana e 11.200 a pericolo di alluvione.
Tra le situazioni più problematiche è da segnalare l’Emilia Romagna: 171.500 persone sono esposte al rischio di alluvione, mentre altre 35.300 vivono nelle aree di pericolo di frana.
Anche nei comuni a rischio medio coesistono i tre elementi di rischio naturale: 38.540 kmq sono in zona sismica 1 o 2 (dove risiedono oltre 2 milioni di persone); 5.360 kmq sono in aree a elevato rischio di frana (234 mila persone); 2.740 kmq sono in aree a elevato rischio di alluvione (740mila persone).
I comuni classificati a rischio medio-basso sono invece 1.122 tra i quali non vi sono comuni ad elevato rischio sismico ma che hanno aree ad elevato rischio di frana, pari a 4.918 kmq, e aree ad elevato rischio di alluvione, pari a 3.408 kmq. In particolare nelle prime risiedono 205.000 persone e nelle seconde oltre 415.000.
Ricostruzione post-sisma e prevenzione
Cospicui sono stati gli sforzi profusi dalle istituzioni per ricostruire, ma altrettante le polemiche intorno a ritardi e sprechi, con tanto di corredo giudiziario avverso infiltrazioni delinquenziali. Eppure, la ricostruzione non può non essere sforzo unanime di politici e privati; e per tutti è lampante che ricostruire senza prevenire, cioè senza il faro delle normative antisismiche, significa vanificare ogni sforzo. Se, infatti, il “costruire bene”, nel recente passato, ha significato principalmente investire in sostenibilità ed efficienza energetica; il “ricostruire bene” deve oggigiorno corredare queste due priorità alla prevenzione, tramite soluzioni performanti per resistenza meccanica, in un dialogo tra innovazione e tradizione.
Lo sanno bene i vertici dell’UE.
Tornando, infatti, sul citato contributo di 1,2 miliardi di euro testé giunto all’Italia dal FSUE, esso insisterà su quattro settori:
1) € 582 milioni: per i Contributi di Autonoma Sistemazione (CAS), della sistemazione alberghiera, delle Soluzioni Abitative di Emergenza (SAE), dei Moduli Abitativi Provvisori Rurali (Mapre), delle stalle e dei fienili;
2) € 316,5 milioni: per gli interventi di ripristino delle infrastrutture della rete viaria previsti nel Piano ANAS, agli interventi di riparazione immediata negli edifici scolastici e alla realizzazione di strutture scolastiche temporanee;
3) € 208 milioni: per la messa in sicurezza e protezione del patrimonio culturale a cura del Mibact e delle Regioni;
4) € 89 milioni: per le attività di gestione, rimozione e smaltimento delle macerie.
Il Regolamento del FSUE, però, è cogente nel porre dei paletti di utilizzo.
Esso vincola a utilizzare il contributo entro diciotto mesi, a decorrere dal 6 novembre 2017, giorno in cui la Commissione europea ha erogato lo stanziamento. Le risorse non impiegate, o utilizzate per operazioni non ammesse al contributo, dovranno essere restituite. Inoltre, entro i 24 mesi dalla ricezione del contributo, l’Italia dovrà stilare una relazione sullo stato di attuazione del contributo, con la relativa rendicontazione.
Responsabile del coordinamento e dell’attuazione del Fondo sarà la Protezione Civile, costantemente impegnata sul tema.
Nel corso del solo settembre 2017, per esempio, due sono state le Ocdpc (Ordinanze del Capo Dipartimento della Protezione Civile) a riguardo: la n° 483 per “ulteriori interventi urgenti di protezione civile conseguenti all'evento sismico che ha interessato il territorio dei Comuni di Casamicciola Terme, di Forio e di Lacco Ameno dell'Isola di Ischia” e la n° 484 riguardante “ulteriori interventi urgenti per gli eventi sismici che hanno colpito le Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo dal 24 agosto 2016”
Preme rilevare l’attenzione che l’UE ha doverosamente rivolto anche verso l’enorme patrimonio culturale italiano. E poiché, per il futuro, il primo passo per la prevenzione e mitigazione del rischio sismico del patrimonio storico architettonico sarà la conoscenza dei beni esposti, è stato avviato in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) un censimento a scala nazionale dei centri storici esposti al rischio e lo sviluppo di un metodo di indagine conoscitiva sulla vulnerabilità dell’edificato storico, attraverso messa a punto di un apposito strumento web “Centri Storici e Rischio Sismico - Csrs" di rilievo, da condividere con tutte le istituzioni competenti sul territorio.
Infine, tra i molti contributi di privati, è possibile ricordare l’interesse di Nomisma, che in accordo con l’allora Commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, e grazie al sostegno di un gruppo di imprese socie e non, ha avviato nel giugno 2017 un percorso di studio che definirà, insieme alle istituzioni locali, una serie di progetti concreti in grado di contribuire a ridisegnare le prospettive economiche delle aree interessate dagli eventi calamitosi. Il fine è di scongiurare il rischio concreto di spopolamento – soprattutto giovanile – delle aree sinistrate.
Molto attiva per la ricostruzione post-terremoto, anche la Fondazione Aristide Merloni, la quale ha lanciato “Rinasco”, un programma d’interventi che puntano alla rinascita dell’Appennino marchigiano. Il tutto tramite progetti di fattibilità con le massime realtà economiche internazionali, marketing territoriale e iniziative culturali di ampio respiro.