#italiasicura, sbloccati 4 miliardi per il suolo in sicurezza

Con l’approvazione del Decreto – Legge “Sblocca Italia”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 settembre 2014, n. 212, parte l’opera di prevenzione e messa in sicurezza dell’Italia colpita da frane e allagamenti. Gli articoli del provvedimento n. 133/2014 prevedono misure per il superamento delle procedure di infrazione, accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per l’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione degli agglomerati urbani nonché il finanziamento di opere urgenti di sistemazioni idraulica dei corsi d’acqua nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione.
Il Governo ha affidato alla Struttura di Missione, coordinata da Erasmo D’Angelis e con direttore Mauro Grassi, il compito di fare regia e coordinare tutte le strutture dello Stato (Ministeri, Protezione civile, Regioni, Enti locali, Consorzi di bonifica, Provveditorati alle opere pubbliche, Genio Civile ed enti e soggetti locali), per trasformare in cantieri oltre 2,4 miliardi di euro non spesi dal 1998.
In più nel bilancio dello Stato sono utilizzabili e ancora non spesi né impegnati in fase di cantiere 1.6 miliardi di euro stanziati con Delibera Cipe nel 2012 per opere urgenti di fognature e depuratori nelle Regioni del Sud da concludere entro il 2015 (la maggior parte tra Sicilia e Calabria).

I progetti

Su 3.395 cantieri anti-alluvioni e messa in sicurezza dalle frane
- In corso di esecuzione 631 interventi, pari al 19%
- Da sbloccare 2655, pari al 78% delle opere
- Conclusi 109 cantieri, pari al 3.2%
183 opere per depurazione scarichi urbani e disinquinamento di fiumi e laghi.

Il monitoraggio

Il Governo sta predisponendo un database che raccoglie, per ogni regione, la situazione di tutti gli interventi con l’obiettivo di ottenere il quadro dei cantieri aperti e da aprire, le risorse investite e da trasformare presto in opere.

Da emergenza a opportunità

Oltre 6.000 comuni ad alto rischio idrogeologico, l'82 per cento del totale, quasi sei milioni di cittadini esposti a situazioni di potenziale pericolo, circa 3,5 miliardi l’anno di danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni. E’ una sorta di bollettino di guerra quello che emerge da tutti i principali osservatori sullo stato del territorio italiano, soggetto a rischi di varia natura in parte determinati dalle sue caratteristiche geologiche, in parte dalle attività antropiche ma soprattutto, a detta degli esperti, da negligenze, incurie e dalla perdurante assenza di una seria pianificazione e manutenzione del territorio.
E’ cosi che, di emergenza in emergenza – ultime in ordine di tempo le alluvioni in Sardegna e nelle Marche – il problema ha assunto dimensioni davvero preoccupanti sia per entità che per complessità e difficoltà di individuare strategie di intervento efficaci. Dalla Protezione Civile al CNR, da Legambiente all’Ance, la fotografia dell’attuale stato del territorio italiano rivela una molteplicità di situazioni critiche, che richiedono nuove politiche, scelte di lungo periodo e, naturalmente ingenti risorse economiche. Per un numero di interventi la cui entità non è eccessivo definire enorme, e che oltre a sanare le innumerevoli criticità presenti sul territorio rappresenterebbero un rilevante volano per l’industria nazionale. In queste pagine abbiamo analizzato dati, cifre e stime per tracciare un quadro aggiornato della situazione e provare a individuarne, oltre alle problematiche, le molte opportunità.

Un’emergenza che viene da lontano

Tutti gli osservatori avviati nel tempo da più soggetti – fra questi Protezione Civile, Legambiente e, più recentemente, Ance – Cresme - per monitorare il fenomeno sono unanimi tanto nella sua lettura quanto nell’analisi delle criticità.
Il rapporto Ance – Cresme, in particolare, fornisce ormai da alcuni una lettura molto dettagliata del fenomeno del dissesto idrogeologico e sismico, un problema estremamente diffuso sul territorio nazionale, e che da sempre lo caratterizza. Osservando l’andamento dei fenomeni di dissesto negli ultimi cinquanta anni emerge una crescente incidenza degli eventi ed un progressivo aumento del rischio per la popolazione. L’espansione urbana che ha interessato tutta l’Italia in maniera rilevante a partire dal dopoguerra, ha determinato l’antropizzazione anche dei territori più fragili, esponendo sempre più spesso a rischio elevato la popolazione insediata. Inoltre, il mutato stile di vita della popolazione ha determinato un progressivo allontanamento dalle aree interne a favole dei centri urbani, e l’abbandono della funzione di manutenzione e presidio territoriale che da sempre assicurava un equilibrio del territorio. I versanti boscati, gli alvei fluviali e i territori agricoli abbandonati hanno lasciato posto a frane e inondazioni. Per avere un’idea della dimensione del problema si pensi che a partire dell’inizio del secolo gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000 che hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture ma soprattutto hanno provocato circa 12.600 i morti, dispersi o feriti e il numero di sfollati supera i 700 mila. Sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell’Ambiente attraverso il progetto AVI in Italia tra il 1985 e il 2001 si sono verificati circa 15.000 eventi di dissesto (gravi e/o lievi), di cui 13.500 frane e 1.500 piene. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati. Dei 15.000 eventi, 120 hanno provocato vittime, 95 frane e 25 alluvioni, e hanno causato circa 970 morti. Tra il 2002 e il 2012 gli eventi di dissesto che hanno provocato danni diretti alla popolazione (con vittime, feriti e sfollati) di cui si è venuti a conoscenza sono circa 380, nella maggior parte si tratta di frane (ben 287 eventi), e hanno provocato circa 290 morti (128 dovuti alle alluvioni e 165 alle frane). Il fenomeno dunque, se paragonato al passato, appare in questo decennio più rilevante sia in termini di eventi che di vittime. Le cause dell’aggravarsi del problema non sono facilmente elencabili ma sicuramente da rintracciare tra più motivi. Una prima causa è da attribuire al progressivo scemare della “cura” del territorio extraurbano, intesa sia come attività produttiva sia anche come modalità di manutenzione ordinaria dei territori aperti. Questo ha provocato un progressivo impoverimento dei suoli diventati molto vulnerabili ai fenomeni atmosferici più “violenti”. Una seconda causa si deve ricercare tra le modalità con cui si effettua la manutenzione ordinaria del territorio, che spesso viene rimandata per carenza di fondi e affidata perlopiù a interventi “urgenti”. Una terza causa va ricercata nella progressiva impermeabilizzazione dei suoli connessa alle forme di urbanizzazione (diffusa) tipiche del nostro contesto nazionale.

La mappa del rischio

Il rischio naturale, ovvero “l’entità del danno atteso in una data area e in un certo intervallo di tempo in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso", interessa tutto il territorio nazionale e ha dimensioni rilevanti. Una parte consistente del problema è da attribuire all’elevata esposizione al rischio idrogeologico e una parte al rischio sismico. Si consideri che le aree ad elevata criticità idrogeologica rappresentano il 10% della superficie italiana (29,5 mila kmq) e riguardano 6.631 comuni; le aree ad elevato rischio sismico sono circa il 44% del territorio nazionale (131 mila kmq) e 2.893 comuni. La popolazione residente in queste aree è esposta ad un rischio naturale potenzialmente molto elevato. La tutela della popolazione, il risanamento idrogeologico del territorio e la messa in sicurezza del patrimonio dagli eventi disastrosi sono dunque questioni prioritarie per il Paese.
Analizzando nel dettaglio il profilo di rischio idrogeologico che caratterizza il territorio nazionale, secondo un’indagine elaborata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare le aree ad elevata criticità idrogeologica interessano il 9,6% circa della superficie territoriale del Paese, pari a più di 29.500 kmq, e l’82% dei comuni italiani, per un totale di 6.631 comuni.
La superficie territoriale ad elevata criticità idrogeologica è per il 58% soggetta a fenomeni di frana, che interessano un’area di circa 17.200 kmq, e per il 42% a rischio alluvione, ovvero 12.300 kmq superficie territoriale. Sulla base dei dati di fonte ministeriale emerge che in termini assoluti, le regioni nelle quali si rileva una maggiore presenza di aree ad alta criticità idrogeologica per frana sono l’Emilia-Romagna con 2.497 kmq, la Campania con 1.997 kmq e il Trentino Alto Adige con 1.609 kmq. Anche rispetto al rischio da alluvione, in termini assoluti, emerge l’Emilia Romagna per la quale la superficie delle aree di rischio da alluvione è pari a 1.818 kmq, il 42% della superficie regionale. Rilevanti sono anche i valori del Piemonte, pari a 1.577 kmq a rischio alluvione, e del Veneto, pari a 1.446 kmq il 93% del territorio regionale. Il problema delle frane risulta particolarmente rilevante in Valle d’Aosta dove la superficie delle aree ad elevato rischio rappresenta il 16,2% dell’intera superficie regionale, ma anche in Molise dov’è pari a 15,7% e in Campania con il 14,7%. Per le alluvioni il Friuli Venezia Giulia con quasi il 10% della superficie territoriale esposta a rischio elevato è la regione più funestata dal problema, seguita dall’Emilia Romagna con l’8,2% del totale e dal Veneto con il 7,9%. Sommando i diversi elementi di criticità dunque, l’Emilia Romagna è la regione che presenta un maggior livello di esposizione al rischio idrogeologico, sia in termini assoluti che in percentuale sul totale della superficie, con 4.316 kmq a elevato rischio pari al 19,5% del totale. Seguono la Campania con 2.598 kmq di aree critiche, pari a 19,1% del totale, il Molise con 836 kmq ovvero il 18,8% del totale, e la Valle d’Aosta con 557 kmq, pari al 17,1% del totale.

I costi del rischio
Il costo complessivo dei danni provocati dai terremoti e dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1944 al 2012, rivalutato in base agli indici Istat al 2011, supera i 240 miliardi di euro1, circa 3,5 miliardi all’anno. Il 75% del costo, pari a circa 181 miliardi, riguarda i terremoti e il restante 25%, circa 61,5 miliardi, il dissesto idrogeologico. Il costo medio annuo, riguardo all’intero periodo considerato, è pari a circa 2,6 miliardi per i terremoti e a meno di 1 miliardo per alluvioni e frane. Il 55% dei 242,5 miliardi, circa 132,5 miliardi, riguarda il costo dei danni provocati da eventi che si sono verificati tra il 1944 e il 1990 (circa 2,8 miliardi annui). Il 37%, poco meno di 90 miliardi, a danni relativi a eventi che si sono verificati tra il 1991 e il 2009 (circa 4,7 miliardi annui) e il restante 8%, circa 20,5 miliardi, dal 2010 a oggi (circa 6,8 miliardi all’anno). In particolare, il costo relativo all’ultimo triennio tiene conto del costo dei danni diretti provocati dal recente terremoto di maggio 2012, che ha interessato le regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, stimato dalle autorità italiane in 13,3 miliardi, nonché del volume medio annuo dei danni da dissesto idrogeologico degli ultimi 20 anni, indicato dall’attuale Ministro dell’Ambiente in 2,5 miliardi. Per quanto riguarda invece il costo dei danni complessivi al 2009, pari a 222 miliardi a prezzi 2011, si fa riferimento ai costi riportati nel Rapporto “Terra e sviluppo. Decalogo della Terra 2010 – Rapporto sullo stato del territorio italiano” realizzato dal centro Studi del Consiglio Nazionale dei geologi (CNG) in collaborazione con il Cresme, attualizzati al 2011.

Gli investimenti per la prevenzione del rischio

Due miliardi di euro erogati per lavori terminati e in corso in oltre 10 anni, a fronte dei 44 miliardi che inizialmente erano previsti (oggi diventati 40 anche alla luce dei fondi già stanziati) così come riportato nell’ “Indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio e la difesa del suolo” della Camera dei Deputati in data 16 luglio 2009. Una stima che si basa sulle indicazioni fornite dei singoli Piani di Assetto Idrogeologico, dai piani Straordinari e dai piani Decennali per l’attuazione di tutti gli interventi indicati nei Piani di Assetto idrogeologico per mettere in sicurezza le aree a rischio del Paese. Questo dato è stato ottenuto dall’elaborazione dei risultati del progetto ReNDiS (Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo) di ISPRA che riepiloga lo stato di avanzamento dei progetti finanziati dal ministero dell’Ambiente con i piani e programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico. Una conferma che fino ad oggi le risorse destinate ad interventi di prevenzione siano state molto poche, e comunque destinate a finanziare interventi puntuali sul territorio, piuttosto che utilizzati per mettere in campo un’efficace opera di prevenzione a tutto campo.
Analizzando nel dettaglio, emerge che su un totale di 1650 (un terzo dei circa cinque mila interventi urgenti programmati nel decennio), solo il 3% risulta attualmente in corso o terminato, prevalentemente in Sicilia e Toscana. Mentre una buona parte di interventi (in Sicilia, toscana, Liguria e Basilicata) risulta ferma alla fase di progettazione o pronta a partire non appena si erogheranno i fondi stanziati. Ma ancora oggi dei 2,1 miliardi stanziati nel biennio 2010/11, ne sono stati erogati e resi disponibili sulle contabilità regionali solo 178 milioni di euro, l’8% del totale previsto. A fronte di tali dati, il potenziale di mercato è davvero elevato. Il mercato dei lavori di sistemazione e prevenzione delle situazioni di dissesto idrogeologico nel periodo 2002-giugno 2012, in base ai dati sui bandi di gara pubblicati in Italia e censiti da Cresme Europa Servizi, è quantificato in 13.483 interventi per un volume d’affari complessivo, riferito a 12.432 interventi di importo noto, di 6,2 miliardi di euro. Rispetto all’intero mercato delle opere pubbliche rappresenta quote del 5% per numero di interventi e solo del 2% per importi in gara. I valori medi annui del periodo 2002-2011 si sono attestati su 1.302 gare per 600 milioni di euro.
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